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Deridi il voto

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mock_the_voteJesse Ventura, quando non parla dell’11 Settembre, si dimostra molto ragionevole. Descrivendo il sistema bipartitico a Larry King, disse:

La situazione odierna è simile all’andare in un negozio di alimentari, dirigersi verso il reparto delle bevande e trovarci soltanto Pepsi e Coca Cola. Puoi scegliere solo quelle due. Non c’è la Mountain Dew, la Root Beer o l’aranciata. Entrambe sono tipi di cola; una è leggermente più dolce dell’altra, dipende da che parte stai”.

In un’intervista con Newsmax, descrisse i politici all’interno di tale sistema come  wrestler professionisti.

Nel wrestling professionistico, in prima fila davanti alle persone, fingiamo di odiarci tutti e di volerci davvero picchiare a sangue: è per questo che ti pagano, invogliandoti a seguirlo e a comprare i biglietti. È la stessa cosa. Davanti al pubblico e alle telecamere si odiano l’un l’altro, vorrebbero quasi picchiarsi, ma dietro le quinte vanno tutti a cena a fare accordi. E fanno semplicemente ciò che abbiamo fatto anche noi, ridendo durante tutto il tragitto per arrivare in banca. Questo per me è ciò che abbiamo oggi, nel mondo politico odierno, con i due partiti”.

Jesse ha ragione: il nostro sistema politico è una farsa. Quest’anno (2008, McCain vs Obama, ndr), hanno corso per la presidenza un guerrafondaio un po’ socialista contro un socialista un po’ guerrafondaio. Abbiamo due partiti che si dichiarano diversi, ma quando l’Establishment, il Complesso, i nostri padroni nascosti nell’ombra – chiamateli come volete -, vogliono qualcosa, la ottengono. Quando l’Establishment pretese i salvataggi finanziari delle banche contro un’opposizione popolare praticamente universale, li ottenne; quando il Complesso pretese l’immunità per le compagnie di telecomunicazione che spiavano deliberatamente gli Americani, l’ottenne; quando i nostri padroni nascosti nell’ombra pretesero che le truppe d’assalto reprimessero le proteste durante le convention dei partiti, lo ottennero.

Ancorché gli elettori avessero una vera possibilità di scegliere – e anche se i politici seguissero la volontà della maggioranza sulle questioni importanti  – il sistema rimarrebbe ancora, probabilmente, una farsa. Come osservò Agostino, senza giustizia un governo non è altro che una banda di ladri. Questi scriveva in riferimento a dei regni, ma la sua opinione si applica altresì alle democrazie: senza la giustizia, l’abilità dei soggetti di votare per le leggi e dei governanti che ne amministrano l’applicazione, non rende un governo più legittimo di un’ingiusta monarchia. E i padri fondatori di questo paese non credevano che le democrazie fossero molto giuste.

 Come fa notare Walter Williams:

 Spesso sentiamo dire che la nostra nazione è una democrazia. Questa non era la visione dei fondatori. Anzi, costoro consideravano la democrazia come un’altra forma di tirannia”.

 In Democrazia: Il Dio Che Ha Fallito, Hans-Hermann Hoppe scrive che:

 è difficile trovare molti sostenitori della democrazia nella storia della teoria politica. Quasi tutti i più grandi pensatori provavano soltanto disprezzo per essa. Perfino i Padri Fondatori degli Stati Uniti, oggigiorno considerata il modello della democrazia, ne erano strenui oppositori. Senza una singola eccezione, ritenevano che la democrazia non fosse altro che il regno della massa”.

 Per creare un governo giusto, i fondatori stabilirono una repubblica limitata costituzionalmente, in cui il voto popolare fosse soltanto uno dei tanti controlli. In particolare, la parola “democrazia” non appare da nessuna parte nella Costituzione. Oggi però, è una parola sacra. Quando si avvicina il giorno delle elezioni, gli americani seguono coscienziosamente dibattiti insensati, guardano rispettosamente pubblicità nelle quali le celebrità li spingono a “supportare il voto” o altri nonsense simili, e si chiedono compulsivamente l’un l’altro per chi voteranno.

 Il giorno delle elezioni entrano nelle cabine elettorali come se stessero ricevendo la Comunione, per poi passare il resto della giornata indossando adesivi con su scritto “Io Ho Votato”, come se fossero la cenere da mettere sul capo il Mercoledì delle Ceneri. Pat Buchanan definisce la cieca venerazione ed il timore reverenziale di questa forza apparentemente divina, “culto della democrazia”. Inoltre, chiarisce come fu la prospettiva di portare la democrazia nel Medio Oriente che convinse, in ultima istanza, Il Decisore (George W. Bush, ndr.) ad intraprendere la guerra in Iraq. Come siamo passati dalla profonda diffidenza dei fondatori verso il governo della maggioranza alla deificazione della democrazia?

 Una volta, gli esseri umani vivevano in piccoli gruppi ed erano liberi. È vero, la vita era pericolosa, ma nessuno ti diceva cosa fare. Come spiega Philip Jackson:

 Gli uomini potevano cacciare individualmente o in gruppi. Ma quando decisero di cooperare, la leadership non era basata su di un rango ufficiale, ma piuttosto su di un cacciatore che proponeva ad un gruppo di cacciare e di reclutare altri affinché lo seguissero. Nessuno era costretto a seguirlo però, e diverse cacce potevano avere differenti leader in base al relativo carisma dei diversi individui di volta in volta. Le donne necessitavano di minor coordinazione; tra di loro, la leadership sarebbe stata più una questione relativa a chi si fosse rivelata più saggia o più portata a dare consigli quando un bisogno si manifestava”.

 Poi arrivò la grande cospirazione, seguita dalla lunghissima oppressione: più gli esseri umani crescevano in numero ed il cibo diventava difficile da procurare, più i gruppi diventavano tribù e le tribù diventavano veri e propri territori da governare. Un Grande Capo affamato di potere, convinse i leader ad ingannare il popolo per il suo consenso; il Grande Capo vantava un’investitura divina, secondo quanto fu detto alla gente, e forse era addirittura egli stesso di origine divina. Pertanto, i sudditi dovevano obbedire a ciò che ordinava.

 Murray Rothbard (1926-1995), economista, storico e teorico politico, fu una delle più grandi menti del XX Secolo. Forse il più grande risultato raggiunto da Rothbard fu la sua identificazione dell’”intellettuale di corte”. In contrasto con le masse, le quali “non creano le proprie idee, o quantomeno pensano attraverso quelle idee in maniera indipendente”, gli intellettuali sono coloro che formano le opinioni di una società. L’intellettuale di corte è colui che, “in cambio di una quota di soldi sporchi  o di una piccola partecipazione al potere offerta dal resto della classe dirigente, tesse le lodi della guida dello Stato con cui persuade un pubblico fuorviato”.

 Fino al recente passato, la propaganda creata dagli intellettuali di corte era legata alla tradizionale religione. Per citare ancora Rothbard:

 particolarmente potente fra le ancelle intellettuali dello Stato era la casta sacerdotale, che cementava le terribili e potenti alleanze del capo guerriero e del medico, del Trono e dell’Altare. Lo Stato “istituiva” la Chiesa e le conferiva potere, prestigio e ricchezza estratta dai suoi sottoposti. In cambio, la Chiesa consacrava lo Stato con il consenso divino e inculcava tale consenso nella popolazione”.

 Nell’Occidente, il mito del diritto divino dei re dominò sino all’Illuminismo.

 Secondo Keith Preston: “Una delle principali conquiste dell’Illuminismo del 17° e 18° secolo fu la demolizione della nozione del diritto divino dei re”. La parola “illuminismo” può far pensare all’immagine di un uomo seduto nella posizione del loto sulla cima di una montagna, in sintonia con l’universo, ma riguardo a quel periodo, illuminismo non si riferisce ad una visione mistica ma alla realizzazione che molta della saggezza generalmente accettata – incluso il mito del diritto divino dei re – era un cumulo di bugie. Con il coraggio di mettere in dubbio tali bugie e disseminare le proprie conclusioni, gli scrittori illuministi cominciarono una rivoluzione intellettuale che culminò nella Dichiarazione d’Indipendenza.

 Sfortunatamente, nello stesso tempo in cui stavano demolendo un pilastro del vecchio ordine, un altro scrittore – Jean-Jacques Rousseau – piantava i semi del culto della democrazia. Nella visione mistica di Rousseau, una società governata da ciò che chiamava “volontà generale”, ognuno di noi avrebbe messo “la sua persona e tutto il suo potere in comune sotto la suprema direzione della volontà generale e, nella nostra capacità sociale, avremmo preso ogni membro come un’indivisibile parte del tutto”. La sovranità risultante, “essendo formata interamente dagli individui che la compongono, non avrebbe né potrebbe avere alcun interesse contrario a loro stessi; conseguentemente il potere sovrano non avrebbe bisogno di dare garanzie ai suoi soggetti”.  Nel mondo da lui immaginato, “il Sovrano, meramente per la virtù di ciò che è, sarebbe sempre esattamente come dovrebbe essere”.

 James Bovard, che definisce Rousseau “il malvagio profeta dello Stato moderno”, afferma che nel promuovere il suo concetto di “volontà generale”, Rousseau “ha liberato il genio del potere assoluto in nome della sovranità popolare, fino ad allora sconosciuto”.

 Il concetto di Rousseau della volontà generale si è dimostrato irresistibile per i futuri intellettuali di corte, dato che fonde perfettamente la società e lo Stato – un trucco certamente utile. Rothbard scrisse:

Con la susseguente ascesa della democrazia, è comune ascoltare sentimenti espressi che violano virtualmente ogni principio di ragione e buonsenso: ad esempio “lo Stato siamo noi”. L’utile termine collettivo “noi” ha consentito che un camuffamento ideologico tale fosse gettato sulla realtà della vita politica. Se “lo Stato siamo noi”, allora tutto ciò che lo Stato fa ad un individuo non solo è giusto e tirannico, ma anche “volontario” da parte dell’individuo interessato. Se il governo si è gravato di un ingente debito pubblico che deve essere pagato tassando un gruppo a beneficio di un altro, la realtà di quest’onere viene oscurata dicendo che “lo dobbiamo a noi stessi”; se il governo recluta militarmente un uomo, o lo sbatte in galera in quanto dissidente, allora “lo sta facendo a se stesso” e dunque non è successo nulla di deplorevole.

 Osservando il potere del “mito affermare che governiamo noi stessi”, Lew Rockwell scrive: mentre “i re del passato sarebbero stati deposti in un battibaleno se avessero cercato di appropriarsi del 40% dei guadagni del popolo, o se avessero detto loro quali misure deve possedere lo scarico del bagno, o se avessero deciso come le scuole dovrebbero insegnare ogni materia”, gli americani di oggi “chiudono un occhio davanti alle meschine tirannie del nostro tempo”.

 Secondo Bovard, è come se “avere il permesso di votare per dei politici che promulgano nuove leggi ingiuste ed oppressive  magicamente converta le strisce sulle divise carcerarie in emblemi di libertà”.

 Renditene conto, America: non c’è niente di speciale nel 50% più uno. La verità e la giustizia non possono essere determinate da un’alzata di mani; non siamo lo Stato; votare non è un sacramento. E oggi come oggi, quando ci viene concesso di scegliere soltanto fra due candidati approvati dall’Establishment, votare è una presa in giro.

 Voltaire, l’indiscusso leader dell’Illuminismo, usava l’ironia e l’umorismo come due delle sue armi principali e, come ha osservato Robert Ingersoll: “Rideva davanti alle assurdità…”. A permettere che gli scrittori illuministi distruggessero il diritto divino dei re, fu in gran parte l’aver reso tale diritto uno zimbello. È tempo per noi di fare la stessa cosa del diritto divino della maggioranza.

Quest’anno, votate ridendo o state a casa.

Articolo di su Mises.org

Traduzione di Alessio Cuozzo

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